La mia Six Stars Medal
E’ passato ormai un mese da quando ho staccato il pettorale della Tokyo Marathon dalla canotta bianco-azzurra dei RB. Non ho più messo le scarpette. Non sono più uscito a correre. Il tibiale posteriore destro mi fa ancora male. Non ero mai stato tanto così tanti giorni senza correre da quando ho iniziato…
Più di dieci anni fa.
Ricordo ancora quando avevo montato il tapis roulant in casa ” per cominciare a muoversi un po’ dopo l’intervento”, mi disse il mio medico. Erano più di quindici anni che non facevo più niente: solo birra e divano. Ricordo ancora bene che, con spavalderia ero salito, l’avevo acceso ad una velocità che oggi direi bradipesca e dopo un minuto avevo la lingua che toccava il tappeto! Non potevo essere ridotto così! Avevo solo poco più di trent’anni!
Dovevo fare qualcosa…
Se allora mi avessero detto che avrei corso una maratona mi sarei messo a ridere. Non sapevo neanche cosa fosse: più di 42 km di corsa? Mi stancherei a farli in macchina, mi dicevo. Poi ho incontrato il mitico Ginko. Stava vincendo il GARB, e mi fece conoscere i Runners Bergamo, che allora erano solo un centinaio. E le tabelle…
Non ne capivo il senso, io volevo solo muovermi un po’. Eppure mi aveva messo un tarlo dentro che iniziava a farsi sentire. Il primo novembre del 2007 mi portò alla corsa della Quisa… A me sembravano tutti matti ! Da quel giorno non ho più voluto scendere da questa giostra!
A febbraio del 2008 la prima mezza a Ferrara. A marzo 2009 la prima maratona a Roma. Non sono mai stato un collezionista seriale di medaglie: 2, massimo 3 maratone all’anno, ma corse al meglio delle mie possibilità. In mezzo grappoli di mezze e gare varie. Il mio vanto non sono mai stati i tempi: penso che ognuno abbia il proprio motore, ma il fatto di non aver mai camminato in nessuna gara che ho corso, nemmeno per 3 metri, che sia stata una maratona o una gara del Fosso.
Il 2016 il mio anno migliore: 2 maratone corse sotto le 3 ore: un sogno! Poi il pallino delle Major e quel medaglione che vedevo agli expo mi istigava. Così ho iniziato ad inseguirlo, con tutte le difficoltà a iscriversi a certe maratone dove non puoi far valere il tempo. E nel frattempo le Major da 5 erano diventate 6. Fino allo scorso 3 marzo.
Il tibiale non mi aveva permesso di allenarmi. Rinunciare? Ipotesi subito scartata: è l’ultima Major e arriverò anche strisciando…
Piove… Fa freddo… Ho il solito dolore… Via… Si parte per la mia 23° maratona, la 6° Major, quella del medaglione. I primi passi zoppicando come al solito. I coriandoli sparati alla partenza che si appiccicano sulla pelle ( canotta e pantaloncini come sempre). Il solito fantastico pubblico che all’estero spinge e si accalca lungo il percorso ( altro che clacson italiani!). Il solito viaggio interiore che solo la maratona sa regalarti. I chilometri che passano un po’ più lenti del solito… Va beh lo sapevo, in maratona non si improvvisa niente. E nella mente mi passano davanti tutte le Major che ho corso. Berlino 2013, la prima Major, il giorno del record del mondo. New York 2015, la più bella, inaspettatamente dura. Londra 2016, la prima volta sotto le 3 ore, ancora oggi il mio PB, Boston 2017, troppo caldo, 9°C il giorno prima, 26°C il giorno della gara, 7°C il giorno dopo. Chicago 2018, tanta acqua, le prime avvisaglie sul tibiale. E finalmente Tokyo 2019…
Quanti ettolitri di sudore, decine di scarpe consumate, quante ore al buio, al freddo, all’alba o alla sera tardi, sempre fuori ad allenarsi. Anche questa volta sono sotto lo striscione d’arrivo di una maratona incredibilmente organizzata e partecipata. Questa volta le medaglie che mi appendono al collo sono due.
All’arrivo questa volta un’emozione Major…
Jury Ferazzini